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La figura del bambino nel percorso di redenzione di Abel Tiffauges
Lettura del romanzo Le roi des Aulnes di Michel Tournier
di Marina Dondi

Prenez garde à ce petit être, il est bien grand, il contient Dieu. (Victor Hugo)

Il bambino ha sempre avuto una parte generalmente marginale tra le figure della letteratura francese; soltanto tra il '700 e l'800 con l'affermarsi della borghesia, vediamo aumentare l'interesse per questa figura. Fu in particolare Jean-Jacques Rousseau con il suo celebre Émile ou De l'éducation, a cristallizzare l'idea del bambino in quanto tale, essere buono e positivo, che deve essere protetto dall'influenza corruttrice della società. Successivamente con Victor Hugo, attraverso l'angelismo dell'infanzia e il personaggio di Gavroche, il bambino acquista una dimensione privilegiata, quasi trascendentale e divina. In primo piano in questa analisi è la celebrazione della figura del fanciullo, il quale, ponendosi come critica delle certezze della società e dell'età adulta, rieduca l'uomo adulto, guidandolo attraverso un percorso di crescita che porta al raggiungimento della salvezza spirituale.

Kourouma


La ricerca dell'andogino e la vocazione materna di Abel Tiffauges: la Foria

Nel romanzo Le Roi des Aulnes, opera dello scrittore contemporaneo Michel Tournier, pubblicata nel 1970 da Gallimard, la figura del bambino assume il ruolo chiave e di svolta nella vita del protagonista Abel Tiffauges, un ambiguo garagista parigino, un uomo inetto, emarginato e vittima di una società da lui descritta come orchesca. Tutto ha inizio con il rifiuto da parte dell'amante Rachel («tu n'es pas un amant, tu es un ogre») che corrisponde al momento di rottura nella storia del protagonista: da qui comincia il percorso iniziatico che porterà Tiffauges alla ricerca della sua identità sessuale e al tentativo di colmare il vuoto che l'abbandono di Rachel gli ha lasciato dentro. L'allontanamento della donna turba infatti la virilità di Tiffauges e la sua ossessione al raggiungimento della pienezza biblica dell'Adamo Androgino, figura perfetta composta dal trio «uomo, donna, bambino». Dopo l’infelicità e il fallimento della vita di coppia eterosessuale, rimane in Tiffauges un senso di incompletezza, che deve essere colmato a tutti i costi: egli cerca quindi rifugio nella terza figura che l'Androgino comprendeva, ovvero il bambino. Il protagonista, non potendo avere Rachel, o in ogni caso una figura materna, vi si identifica, trasformando se stesso in madre; ma vista l’impossibilità di portare internamente un bambino come farebbe la donna durante la gestazione, Abel lo porta esternamente, sulle spalle. Secondo Philippe de Monès, la vocazione suprema di Tiffauges in quanto uomo è diventare «le porte-enfant, l'homme-mère». Ci troviamo di fronte alla «phorie», immagine che farà da filo conduttore di questo romanzo e che meglio identifica l'ideale di relazione tra l'adulto e il bambino sognato da Tiffauges, o meglio ancora la «pedophorie», neologismo di Tournier che in francese può essere reso come «porteur (ou emporteur) d'enfants». Dopo aver escluso la bambina, che in seguito all'episodio dell'ingiusta accusa di violenza ai danni della piccola Martine, agli occhi di Tiffauges si trasforma semplicemente in una «femme en reduction», Abel elegge il bambino come figura perfetta alla ricomposizione della mitica unione androginica: egli infatti è un androgino della nascita, in quanto riunisce in sé il sesso maschile e la grazia femminile. Tiffauges lo descrive come «prince de la création», «beau, intelligent, en toute innocence» ed indica anche un’età precisa, in cui il bambino è «heureux, sûr de lui, confiant dans l’univers qui l’entoure et qui lui paraît parfaitement ordonné»: trattasi dei dodici anni, «point d’équilibre et d’épanouissement insurpassable», descritta da Tournier come «l’âge adulte de l’enfance», prima della strage degli innocenti da parte del mostro Pubertà.

Vediamo dunque nel protagonista, attraverso le memorie del collegio, dell'amico Nestor e in seguito alla scoperta della phorie, un ritorno all'infanzia come critica delle certezze dell'età adulta, un salto all'indietro nel passato per ritrovarvi il proprio «io», prima che rimanesse deluso dalla «pestilence de l'adultat», dalle regole e convenzioni del mondo adulto, il quale reprime e maltratta la giovinezza, attraverso i castighi che il giovane Abel aveva conosciuto al collegio Saint Christophe. Lo stesso Tournier affermò che in generale gli uomini dispongono alla nascita di un capitale di felicità: l’infanzia. Questo capitale di felicità viene conservato fino alla morte ed essi vi attingono ogniqualvolta hanno bisogno di ritrovare la speranza e la luce. Tiffauges, a sua volta, capisce che l'unico modo per ritrovare l'infanzia è costruire un rapporto privilegiato con i bambini.


La sottomissione del bambino e l'ambiguità della Foria: il bambino vittima

Come aveva premesso Rachel, Tiffauges si identifica innanzitutto con la figura dell'orco, ossessionato dall'esigenza di cibo, dal bisogno di mangiare per placare una mancanza che sente dentro di sé. Sin dall'inizio del romanzo Rachel lo accusa del fatto che, nell'atto sessuale, lui la divori «au niveau du bifteck», limitandosi a saziare la sua fame di «chair fraiche». Il suo desiderio, qui come nel corso di tutto il romanzo, non è sessuale bensì legato al cibo, a dimostrazione di quanto Tiffauges sia ancora schiavo dello «stadio orale», tipicamente infantile; il suo forte bisogno di cibo implica dunque una regressione. Con Rachel, e con l'episodio dei tre piccioni che ha amorevolmente allevato durante la prigionia in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale, «mangiare» viene a coincidere con «amare» ed è sintomo di un estremo desiderio di possesso. Il desiderio di fusione e la trilogia mangiare-possedere-amare sono simbolo di una pulsione mortale, che condurrà il protagonista, come accadrà ai suoi beneamati piccioni, alla distruzione finale dell’oggetto amato. Avendo eletto il bambino come unica figura capace di ricomporre assieme all’uomo l’unità androginica perduta, Tiffauges utilizza diversi modi per poter entrare in possesso della fresca, gioiosa, volatile «chair enfantine». Dapprima con un registratore, «machine à voler les cris et les sons», poi con una macchina fotografica, «boîte à capturer les images», egli inizia la sua caccia, che culminerà con la trasformazione finale in Orco di Kaltenborn, temutissimo personaggio che strappa i bambini tedeschi dalle loro case e dalle loro famiglie, per portarli nelle file della Gioventù Hitleriana, al servizio del III Reich. Si può affermare che l’essenza di questo romanzo stia in questa frase, contenuta nel saggio Le Vent Paraclet dello stesso Tournier: «Qui porte l’enfant, l’emporte. Qui le sert humblement, le serre criminellement». L’intero romanzo si basa sull’ambiguità del rapporto di Tiffauges con i bambini: li serve ma allo stesso tempo li asservisce, li ama ma contemporaneamente li spinge all’oppressione e alla morte. Egli è incline alla predazione e prova un fascino tangibile per la sofferenza, traendone perfino un piacere personale. All'ambiguità di questa frase, si può legare l'interpretazione di Françoise Merllié, secondo la quale esistono due tipi di pedofilia: una pedofilia criminale, di tipo virile, che termina con l’impalamento del bambino, e la seconda di tipo materno.

La passione pedofila di Tiffauges è di certo amorosa e carnale, ma è tutt’altro che pederasta: lo stesso Tournier afferma che la relazione di Tiffauges con le sue prede non è di natura sessuale, in quanto Tiffauges «n'est pas un adulte», essendo caratterizzato da un'immaturità profonda e irrimediabile. Ma fino a quando Abel tenterà di possedere i bambini, egli non farà altro che «prendre possession» di essi e trasformarli in schiavi, esseri al servizio delle sue esigenze e ai suoi bisogni, confermando la sua incapacità di amare. Il bambino diviene così vittima di un culto del corpo, che lo riduce allo stato di semplice oggetto. A sua volta il bambino non può far testa alla forza dispotica e smisurata dell’orco: a partire dall’etimologia della parola «enfant», che deriva da fari, parlare, in-fans sta a significare «colui che non può parlare», il bambino è dunque un essere ridotto al silenzio, che non si può ribellare di fronte alle costrizioni degli adulti e alle oppressioni della società, diventando così la vittima per eccellenza.

La figura che più rappresenta Tiffauges in questa fase della storia risiede nel titolo del romanzo stesso: “Le Roi des Aulnes”, che si rifà all'omonima ballata di Goethe, in cui il Re degli Ontani, malvagia creatura dei boschi, chiama a sé un bambino incitandolo a seguirlo e convincendolo con dolci promesse, fino alla frase:

Je t’aime, ton beau corps me tente,
Si tu n’es pas consentant je te fais violence!

In veste di Orco di Kaltenborn, Tiffauges, come il Re degli Ontani, ammalia il bambino, lo attira a sé e possedendolo, lo conduce alla morte. Per questo motivo la foria, l’espressione dell’amore di Tiffauges nei confronti dei bambini, è ambigua, poiché oscilla incessantemente tra la loro distruzione e l’amore reale che il protagonista prova per loro. La natura negativa della foria, durante la quale il piacere di Tiffauges antecede quello del bambino, si somma agli ideali del nazismo: i valori guida dell’asservire nazista sono infatti l’eroismo, la potenza assoluta, la forza, l’eternità, l’abnegazione dell’altro, e corrispondono a quelli di Tiffauges. Rapendo ed asservendo i bambini, essi subiscono un processo di spersonalizzazione, divenendo semplici oggetti e Tiffauges si mette irreparabilmente al servizio della malignità, del Diavolo. Ed è così che «l’enfance allemande», strappata dall’affetto della famiglia, assoggettata al potere del Reich grazie al quale apprenderà i metodi e le armi necessarie per servire il regime e la patria, non può avere altra sorte che essere «vouée de tout temps à un massacre d’innocents». Verso la fine del romanzo, leggiamo infatti di una serie di incidenti mortali che hanno come vittima gli Jungmaenner della Napola, martirizzati nella fortezza di Kaltenborn dai dettami della cieca follia bellica nazista. Queste morti aiuteranno Tiffauges nell'intraprendere del suo percorso di crescita, prima dell'incontro con l’«Enfant Christ». Se ogni bambino martire diventa la controfigura di Cristo martirizzato, il crimine sul bambino è sinonimo di un autentico deicidio: il castigo che il colpevole, avvicinandosi al Demonio, attira su di sé sarà soprannaturale.


Servire il bambino e l'Astroforia: il bambino redentore

Quando tutto sembra ormai perduto, schiacciato dal potere demoniaco dell’inversione maligna e del Reich, entra in scena Éphraïm, bambino ebreo sopravvissuto ai campi di concentramento, una figura inaspettata che stravolge il corso della storia. Il piccolo viene trovato mezzo morto nella neve da Tiffauges, il quale decide di portarlo in segreto alla fortezza di Kaltenborn e di prendersi cura di lui. Sacrificandosi per un altro essere vivente e dominando gli istinti predatori, Tiffauges rinuncia all'egoismo e inizia a servire il prossimo, con un'abnegazione tipicamente materna. Dal canto suo, Éphraïm, debole, infreddolito e affamato è caratterizzato dalla «précocité mentale», tipica di chi ha conosciuto la morte e la disumanità nei campi di concentramento, che è così fortemente in contrasto con la sua debilità fisica. Opponendosi all'etimologia della parola enfant, egli racconta a Tiffauges le crudeltà del campo di concentramento di Auschwitz:

Abreuvé de l’horreur, Tiffauges voyait ainsi s’édifier impitoyablement, à travers les longues confessions d’Ephraïm, une Cité infernale qui répondait pierre par pierre à la Cité phorique dont il avait rêvé à Kaltenborn. Le Canada, le tissage des cheveux, les appels, les chiens dobermans, les recherches sur la gémellité et les densités atmosphériques, et surtout, surtout les fausses salles de douche, toutes ses inventions, toutes ses découvertes se reflétaient dans l’horrible miroir, inversées et portées à une incandescence d’enfer.

Parlando e raccontando della sua terribile esperienza, Éphraïm fa sì che la sua figura, e quella del bambino in generale, riacquisti uno spirito, una dignità: se il piccolo Hellmut, Jungmann decapitato dalla fiamma di un Panzerfaust, era stato paragonato a San Giovanni Battista, Éphraïm è Cristo, che con la sua rivelazione guida l’anima di Tiffauges verso la redenzione e la salvezza spirituale. La rivelazione dell'Enfant Christ permette un'inversione al bene nella vita di Tiffauges, guidando la sua anima verso la redenzione e la salvezza spirituale. Éphraïm, il quale peraltro porta al braccio una fascia di stoffa con la stella di David, è l’Enfant Porte-Étoile, come lo era stato il Bambin Gesù portando la cometa: il piccolo ebreo guida Tiffauges con la sua sapienza e la sua luce interiore, come la cometa aveva fatto quasi duemila anni prima con coloro che avevano voluto conoscere il volto di Dio fatto uomo. In seguito all'attacco dell'armata sovietica alla fortezza di Kaltenborn, Tiffauges cerca di fuggire scappando attraverso le paludi, portando sulle spalle il piccolo ebreo.
La vita di Tiffauges si conclude all’insegna di un’Astroforia: quando si gira a guardare Éphraïm per l’ultima volta prima di sprofondare nella terra palustre, al posto del bambino non vede altro che una stella d’oro a sei punte. Il finale del romanzo è senza sorprese: Tiffauges aveva già previsto tutto.

Kourouma
Michel Tournier
[…L’]Atlas astrophore est le héros mythologique vers lequel devrait tendre ma vie pour trouver en lui finalement son aboutissement et son apothéose. […] ma fin triomphale ce sera, si Dieu le veut, de marcher sur la terre avec posée sur ma nuque une étoile plus radieuse et plus dorée que celle des rois mages….

Conclusione

L'unità armoniosa dell'Astroforia finale formata con Ephraim mette fine al percorso iniziatico di Tiffauges, passato da “fagico” orco predatore a “forico” salvatore di bambini, percorso che a sua volta lo condurrà alla salvezza spirituale. Anche la visione del bambino subisce un'evoluzione: da mezzo, semplice preda fatta di solo corpo, diventa con Éphraïm creatura di culto, dotata di spirito e parola. È attraverso Éphraïm che Tiffauges, il quale da piccolo si descriveva come un «petit fantôme inconsolable», cerca di riparare la propria infanzia infelice, durante la quale era vittima dei soprusi dei compagni al collegio e si sentiva abbandonato dai genitori. Salvando Éphraïm, trova il riscatto per tutte le «enfances écrasées», come la sua. Come si legge nel Vangelo secondo Matteo (18, 2-3), Gesù chiamo a sé un bambino, lo mise in mezzo ai suoi discepoli e disse: «Vi assicuro che se non cambiate e non diventate come bambini non entrerete nel regno di Dio».
Come San Cristoforo, Tiffauges abbandona la diabolica Germania dell’epoca nazista e sotto l’effetto dell’inversione benigna scaturita dalle testimonianze di Éphraïm, si salva spiritualmente, poiché decide di rimanere al suo servizio: intraprende anch’egli dunque il viaggio verso la via della santità ed il suo corpo, che si conserverà intatto come quello del Roi des Aulnes delle torbiere, è promessa di eternità. Analogamente Le Roi des Aulnes è un’opera che celebra il bambino, che vuole convertire ad una religione dell’infanzia, dove il bambino acquista il ruolo salvatore di Cristo e dove il sacrificio per l’altro porta alla salvezza spirituale.

Marina Dondi

Multimédia : Michel Tournier : Le roi des Aulnes sur France 3 (1996)

 

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