Musique pour la fin du Temps
di Anna Lapetina
Nel pomeriggio del 27 gennaio ho incontrato per caso Lello Romano, amico e appassionato francofilo, il quale mi ha proposto di scrivere qualcosa che potesse esser pubblicato sulla neonata Page culture del nostro sito Af; inizialmente ho pensato ad una riflessione dal sapore femminista sulla mitizzazione della maternità, tematica della quale ho iniziato ad occuparmi lavorando sui testi di Nancy Huston e che continuo ad approfondire essendo diventata io stessa, a mia volta, una madre.
Nel tragitto verso casa i pensieri hanno però iniziato a divagare, mentre Radio Tre trasmetteva un programma dedicato ai deportati della Risiera di San Sabba per celebrare la Giornata della Memoria. Ho pensato alla trilogia Auschwitz et après scritta da Charlotte Delbo, revenante dalla prigionia nazista, e in particolare al terzo volume intitolato Mesure de nos jours; ho pensato al Quatuor pour la fin du Temps composto da Olivier Messiaen nello Stalag VIII A di Görlitz, dove il musicista era stato condotto nel luglio del 1940 in seguito alla cattura da parte degli occupanti tedeschi; queste righe sono state dunque ispirate da un testo ed una partitura che testimoniano l’indicibile del Male, interrogandone, in particolare, la questione temporale.
Chacun avait emporté ses souvenirs, tout son poids de souvenirs, tout son poids de passé. A l’arrivée, il lui a fallu s’en défaire. On entrait nu. Vous direz qu’on peut tout enlever à un être humain, tout sauf sa mémoire. Vous ne savez pas. On lui enlève d’abord sa qualité d’être humain et c’est alors que sa mémoire le quitte. Sa mémoire s’en va par lambeaux, comme des lambeaux de peau brûlée.1
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Nei campi di prigionia la spoliazione della memoria si accompagna, per la Delbo, ad un’esperienza straniante del tempo, che si concretizza nella percezione di “un présent sans réalité” 2 i cui punti di fuga, del passato e dell’avvenire, sembrano essere stati recisi insieme ai legami che il deportato intratteneva con un’esistenza precedente.
Mado, una delle revenante che prestano la propria voce al racconto polifonico della Delbo, descrive quello della cattura come “le dernier jour de ma vie. Je n’ai pas changé d’âge, je n’ai pas vieilli. Le temps ne passe pas. Le temps s’est arrêté”.3
L’insostenibile sensazione di una durata perpetua del tempo è alimentata dalla ripetitività dei gesti ai quali i prigionieri sono costretti, all’elemento perturbante che viene così introdotto nelle loro esistenze di esseri umani brutalizzati ed annientati nella dignità:
[...] le temps durait, durait, [...] tout le monde aujourd’hui se dit vingt-sept mois ce n’est pas si long dans une vie et [...] je ne peux pas leur faire comprendre la différence entre le temps de là-bas et le temps d’ici, entre le temps de là-bas qui était vide, et qui était si lourd de tous ces morts, [...] et le temps d’ici qui est du temps creux.4
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Il filo spinato che delimita il campo sembra così circoscrivere, nella sua terribile evidenza, una bolla temporale in cui lo scorrere dei minuti, delle ore, non più confortato dal mensonge de l’avenir, appare ormai ibernato e destinato all’illusione dell’immobilità; solo il ritorno alla vita, che per i survivants equivale all’uscita dalla storia5, provoca quindi lo scioglimento delle catene temporali che, nel racconto della Delbo, viene descritto nei termini metaforici di una liquefazione: |
Au voyage de retour, j’étais avec mes camarades, les survivantes d’entre mes camarades. Elles étaient assise près de moi dans l’avion et à mesure que le temps s’accélérait [il corsivo è mio], elles devenaient plus diaphanes, de plus en plus diaphanes, perdaient couleur et forme. [...] Je les regardais se transformer sous mes yeux, devenir transparentes, devenir floues, devenir spectres.6
Lo choc conseguente al ritrovato contatto con l’ovvietà della vita è causa di uno stato catatonico che si trascina ancora nell’indefinitezza temporale: longtemps, très longtemps, ripete la Delbo nelle prime pagine del suo racconto, prima di tentare “de me souvenir des gestes qu’on doit faire pour reprendre la forme d’un vivant dans la vie. Marcher, parler, répondre aux questions, dire où l’on veut aller, y aller”.7
Il ritorno alla vita avviene attraverso il contatto con un libro, che rappresenta dunque, metonimicamente, la scrittura quale strumento di redenzione:
Pourquoi vivre si rien n’est vrai? [...] Je me débattais dans un dilemme insoluble. Je regardais les livres inutiles. Tout m’était inutile. Mais à quoi sert de savoir quand on ne sait plus comment vivre ? Comment cela s’est-il passé ? Je ne sais pas. Un jour, j’ai pris un livre et j l’ai lu. Je voudrais pouvoir dire comment cela s’est fait. Je ne m’en souviens plus du tout. Je ne me souviens pas non plus du titre. [...] C’était un livre parmi tous les autres, celui qui m’a rendu tous les autres. 8
Olivier Messiaen era un giovane soldato di 31 anni quando fu catturato da una truppa tedesca nei pressi di Nancy, per essere condotto nello Stalag 9 VIII A di Görlitz, in Polonia.
Per un caso fortuito, che giustificò poi la liberazione del compositore qualche mese più tardi, nello stesso campo si trovavano un ufficiale tedesco appassionato di musica, Karl Albert Brüll,10 ed altri tre musicisti: Henri Akoka, clarinettista di origine algerina, Etienne Pasquier, violoncellista, e Jean le Boulaire, violinista che dopo la guerra abbandonò lo strumento per dedicarsi al cinema.11
Facendo prevalere l’amore per la musica sui doveri militari, Brüll fornì carta pentagrammata e matite al già noto compositore, che durante gli ultimi mesi del 1940, nonostante il freddo, le privazioni e i patimenti subiti, creò per il gruppo musicale sventuratamente riunito il celebre Quator pour la fin du temps:12
Conçu et écrit pendant ma captivité, le Quatuor fut donné en première audition au Stalag VIII A, le 15 janvier 1941. [...] Le stalag était enseveli sous la neige. Nous étions 30.000 prisonniers. Les quatre instrumentistes jouaient sur des instruments cassés : le violoncelle d’Etienne Pasquier n’avait que trois cordes, les touches de mon piano droit s’abaissaient et ne se relevaient plus, le pauvre Akoka avait une clarinette dont une des clefs avait fondu à côté d’une poêle. Nos costumes étaient invraisemblables : on m’avait affublé d’une veste verte complètement déchirée, et je portais des sabots de bois.13
Suddiviso in otto movimenti, giacché “sept est le nombre parfait, la création de six jours sanctifiée par le sabbat divin; le sept de ce repos se prolonge dans l’éternité et devient le huit de la lumière indéfectible, de l’inaltérable paix”14, il quartetto è espressione di un forte simbolismo religioso, affermato sin dalla dédicace, che cita i versetti X, 1-7 dell’Apocalisse di Giovanni :
Je vis un ange plein de force, descendant du ciel [...] Il posa son pied droit sur la mer et son pied gauche sur la terre, il leva la main vers le Ciel et jura par Celui qui vit dans les siècles, disant : « Il n’y aura plus de Temps ». Mais au jour de la trompette du septième ange, le mystère de Dieu se consommera.15
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Olivier Messiaen |
Il riferimento ad una dimensione temporale apocalittica, o meglio all’annullamento della contingenza temporale, si presenta in maniera ambivalente, poiché se da una parte risponde all’interesse che Messiaen mostrava nei confronti del sovvertimento delle regole ritmiche, inaugurato da Wagner e Debussy e proseguito in certa musica sperimentale di quegli anni, dall’altra sembra richiamare, piuttosto palesemente, quella percezione straniante del tempo propria dei campi di deportazione e ben descritta dalla Delbo.
Nella Préface all’opera, il compositore descrive il linguaggio musicale in essa contenuto come
[...] immatériel, spirituel, catholique. Des modes [...] y rapprochent l’auditeur de l’éternité dans l’espace ou l’infini. Des rythmes spéciaux, hors de toute mesure [il corsivo è mio], y contribuent puissamment à éloigner le temporel. [...] Le temps – mesuré, relatif, physiologique, psychologique – se divise de mille manières, dont la plus immédiate pour nous est une perpétuelle conversion de l’avenir en passé. Dans l’éternité, ces choses n’existeront plus.16
In musica la misura è un’unità temporale costituita da pulsazioni ritmiche che si ripetono secondo il metro da essa espresso: la ricorrenza degli accenti produce un senso di regolarità utile allo strutturarsi della linea melodica, che viene dunque “incamerata” in una griglia ritmica ben precisa.
Charlotte Delbo
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Ebbene, non era forse questa ossessiva ed onnipresente regolarità temporale propria dei lunghi giorni di prigionia ad essere deprecata da Charlotte Delbo?
Nous avons passé les jours à compter le temps, nous avons passé le temps à compter les morts. [...] Et pour chaque mort que nous comptions [...] nous n’avions qu’effroi et anxiété : combien de jours jusqu’à ce qu’on me compte, moi ? [...] « Le temps que l’on mesure n’est point mesure de nos jours. » Là-bas, si.17
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Il desiderio di sottrarsi a tale, opprimente, realtà, trova espressione musicale soprattutto nel terzo dei movimenti che compongono il Quatuor, dal titolo Abîme des oiseaux18: il tempo, “avec ses tristesses, ses lassitudes”19 rappresenta un abisso, al quale si contrappone “notre désir de lumière, d’étoiles, de jubilantes vocalises”20, che si concretizza nel canto delle creature alate, affidato ad un assolo virtuosistico del clarinetto, strumento “exploité dans toutes ses limites, jusqu’à cette extrême lenteur qui met à l’épreuve la capacité de souffle de l’instrumentiste”.21
Incarnazione sonora delle innovazioni ritmiche esplorate da Messiaen, il Quatuor pour la fin du temps si fa dunque, al pari del racconto di Charlotte Delbo, vivida testimonianza della ricerca di un Altrove libero dalle leggi del tempo e dal dolore della storia, e reso possibile dalla creazione artistica.
A questo proposito, Viktor Ullmann, compositore e pianista di origini austro-ungariche prigioniero nel campo di Terezin ed ucciso ad Auschwitz, affermava:
Theresienstadt war und ist für mich Schule der Form. Früher, wo man Wucht und Last des stofflichen Lebens nicht fühlte, weil der Komfort, diese Magie der Zivilisation, sie verdrängte, war es leicht, die schöne Form zu schaffen. Hier, wo man auch im täglichen Leben den Stoff durch die Form zu überwinden hat, wo alles Musische in vollem Gegensatz zur Umwelt steht: Hier ist die wahre Meisterschule, wenn man mit Schiller das Geheimnis des Kunstwerks darin sieht: den Stoff durch die Form zu vertilgen – was ja vermutlich die Mission des Menschen überhaupt ist, nicht nur des ästhetischen, sondern auch des ethischen Menschen.
Ich habe in Theresienstadt ziemlich viel neue Musik geschrieben, meist um den Bedürfnissen und Wünschen von Dirigenten, Regisseuren, Pianisten, Sängern und damit den Bedürfnissen der Freizeitgestaltung des Ghettos zu genügen. [...]
Zu betonen ist nur, dass ich in meiner musikalischen Arbeit durch Theresienstadt gefördert und nicht etwa gehemmt worden bin, dass wir keineswegs bloß klagend an Babylons Flüssen saßen und dass unser Kulturwille unserem Lebenswillen adäquat war; und ich bin überzeugt davon, dass alle, die bestrebt waren, in Leben und Kunst die Form dem widerstrebenden Stoffe abzuringen, mir Recht geben werden.22
Affinché non si dimentichi.
Anna Lapetina
- C. Delbo, Auschwitz et après III. Mesure de nos jours, Paris, Les Editions de Minuit, 1995, p. 44.
- Ib., p. 14.
- Ib., p. 52. Così anche Poupette: “J’avais dix-neuf ans quand je me suis mariée, mais ce n’était pas mon âge. Mon cœur avait seize ans, l’âge où j’ai été arrêtée.” (p. 73).
- Ib., p. 197.
- “Sortir de l’histoire/pour entrer dans la vie [...]”, ib., p. 82.
- Ib., p. 9.
- Ib., p. 11.
- Ib., p. 18.
- Anche Stammlager, termini che indicano i campi creati per i prigionieri di guerra.
- Il quale fu profondamente colpito dall'esecuzione del quartetto e decise di procurare i documenti necessari al compositore per rientrare in Francia.
- Con il nome di Jean Lanier, recitò in diverse pellicole della Nouvelle Vague, come ne L’année dernière à Marienbad.
- Esecuzione che Messiaen considerò “le plus beau concert de toute mon existence”, nonostante le circostanze dolorose in cui fu composto e le penose condizioni in cui si svolse l'esibizione: “[...] je ne sais pas si le public a compris, parce que ce n'était pas des connaisseurs en musique, mais c'était des gens malheureux comme nous. Ils ont été tout de même touchés parce qu'ils étaient malheureux et que nous étions aussi malheureux et que c'était une œuvre faite par un compagnon de captivité [...]” (O. Messiaen, Les musiciens par eux-mêmes, entretien radiophonique avec George Nicholson, Chaîne culturelle de Radio-canada, 1988).
- O. Messiaen, Préface au Quatuor pour la fin du temps, Paris, Editeur Durand, 1942; anche su www.messiaen2008.com/catalogue.
- O. Messiaen, Note de programme, www.messiaen2008.com/catalogue.
- Ibidem.
- O. Messiaen, Préface au Quatuor pour la fin du temps.
- C. Delbo, Auschwitz et après III. Mesure de nos jours, cit., p. 48.
- Fine ornitologo, Messiaen introduce proprio nella musica del quartetto, per la prima volta, il canto degli uccelli.
- O. Messiaen, Note de programme.
- Ibidem.
- Ibidem.
- V. Ullmann, 26 Kritiken über musikalische Veranstaltungen in Theresienstadt, Hamburg 1993, Anhang 2, S. 92f.
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