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L’esilio in Joyce – intertestualità mallarmeane
di Giuseppe Martoccia

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1. Introduzione (background culturale)

Il tema classico e biblico dell’esilio in quanto separazione da una patria, materiale o spirituale, che comunque rimane – per chi in esilio vive – concreto spazio d’attesa, di proiezione e di dialogo, orizzonte possibile o impossibile cui comunque si tende, viene trasformato in modo significativo dalla rivoluzione europea del Romanticismo. L’esilio, muovendo dalla singolare avventura umana e letteraria di Jean-Jacques Rousseau, diventa per gli scrittori romantici la condizione stessa della scrittura:

L’esilio è parso rappresentare la grande metafora entro cui la storia, la biografia e l’estetica del romanticismo potessero meglio racchiudersi ed interagire <…> l’esilio assurge a motivo esistenziale e, simbolicamente, a viaggio spirituale permanente che fa sì che il poeta romantico sempre si rinnovi all’occhio generazionale;

All artists, not only the Romantics, are “expatriates” almost by definition. The artist is always an exile.

Hugo
La definitiva fissazione di questa nuova sensibilità può essere attribuita, così come molte altre novità del Romanticismo, a Charles Baudelaire. Il quale, come ampiamente è stato indagato dalla critica, fa iniziare un nuovo percorso alla poesia moderna, ponendosi a metà secolo come una sorta di catalizzatore delle esperienze precedenti, e come prisma multicolore che le irradia nell’avvenire. La definizione del poeta all’interno della società contemporanea è uno dei motivi dominanti dell’opera di Baudelaire. Un chiodo fisso, di auto-definizione, che può ritrovarsi in miriadi di citazioni. Basti ricordare qui le tre poesie iniziali delle Fleurs du Mal, che non a caso, nella calibrata struttura d’insieme, hanno la funzione di definire il poeta in relazione alla società :

tutta la poesia Bénédiction, la prima delle Fleurs du Mal, dopo la prefazione rivolta al lettore, e che dice della “maledizione” di essere poeta nella società moderna;

 L’Albatros, termina con i versi, celeberrimi, del poeta in “esilio” sulla terra, tra le grida della folla, con le sue goffe ali di “gigante” che gli impediscono di camminare come gli altri;

Elévation, in relazione di contrasto con le precedenti, celebra invece la facoltà del poeta di “esiliarsi”, allontanarsi dal mondo reale per raggiungere degli spazi superiori, spirituali: l’ “Idéal” cui il poeta tende.

Il poeta è un estraneo nella società, un inadatto, uno che ha patria altrove, ed è in esilio tra gli altri, nella città. L’immagine del “flaneur”, ormai classica, esprime bene questa condizione, di presenza/assenza, di testimonianza senza partecipazione. Esilio non significa, tuttavia, distacco e rifiuto. Baudelaire, nonostante incroci il Parnasse, non si rifugia mai in una sua torre d’avorio, divisa dalla società e indifferente agli accadimenti sociali. Con lui, al contrario, la poesia è estremamente “engagée”: ha a cuore gli uomini e la loro sofferenza, acquisisce una sorta di velleità salvifica, si pone come “bellezza nel fango” ma anche come “coscienza nel male”. Insomma il poeta è in esilio perché è poeta, non per scelta aristocratica o per rifiuto.

La lezione di Baudelaire, com’è noto, passa in eredità ai cosiddetti “poeti maledetti”, tra i quali il più importante per la riflessione teorica sul ruolo della poesia nella modernità, è Stéphane Mallarmé.

Mallarmé Mallarmé riprende pienamente la visione del grande maestro. La figura del poeta in esilio nella società, pur se il termine non appare spesso è tra le più costanti e ricorrenti nei suoi scritti. A titolo di esempio, si devono ricordare almeno:

l’intera poesia Le Tombeau d’Edgar Poe, che può essere considerato uno dei manifesti dei “Poeti maledetti”;

l’intero poema in prosa dedicato a Villiers de l’Isle-Adam, che è in strettissimo rapporto con il testo su Amleto: Villiers è, per Mallarmé, il simbolo della poesia contemporanea, dileggiata, incompresa e disprezzata dalla società (cfr. infra);

i poèmes en prose dal titolo Conflit e Solitude, che, entrambi, mettono in relazione la professione del poeta, inesistente nella società contemporanea, con il mondo produttivo; nel primo caso, bellissimo, con dei “compagni” operai, il dialogo si conclude con questa considerazione del poeta: “Tristesse que ma production reste, à ceux-ci, par essence, comme les nuages au crépuscule ou des étoiles, vaine”;

la sintesi del tema che si può leggere nel testo La Musique et les Lettres (« La situation, celle du poëte, rêvé-je d’énoncer, ne laisse pas de découvrir quelque difficulté, ou du comique. Un lamentable seigneur exilant son spectre de ruines lentes à l’ensevelir en la légende et le mélodrame, c’est lui, dans l’ordre jounalier : lui, ce l’est, tout de même, à qui on fait remonter la présentation en tant qu’explosif, d’un concept trop vierge, à la Société »), dove il poeta discute anche della sua funzione o non funzione, all’interno del non ben definito spazio della « società », e conclude dicendo che il poeta è in esilio, e vive quasi in un « interregno », cioè in uno spazio e in un tempo transitori, d’esilio appunto, durante tutta la sua esistenza terrena.  

La novità di Mallarmé, che ci porta direttamente al Modernismo del primo novecento e a Joyce, consiste nella lucida teorizzazione dell’esilio della letteratura (e non solo del poeta). Che non è ormai più comunicazione di un “io” più sensibile al resto del consorzio umano; né intermediazione sacra tra un linguaggio divino e il parlare quotidiano; ma si definisce invece come un uso diverso e particolare della lingua. Prima che di fronte al consorzio sociale, il poeta deve definirsi di fronte alla sua lingua: egli è un “ritmo”, uno strumento musicale che suona in un certo modo le parole di tutti. C’è la necessità per la letteratura di definirsi in relazione ad una nuova retorica, in modo da costituirsi come linguaggio specifico, così come era stata da sempre, ed evitare la semplificazione del “narrare, insegnare, descrivere”, cioè della pagina di “feuilleton” quotidiana. Questo passaggio critico non può essere slegato dalla definizione del Romanticismo e di Baudelaire del “poeta in esilio”; né è, anzi, la diretta conseguenza, perché non avrebbe potuto essere elaborata in modo così netto da Mallarmé se non ci fosse stata la linea di confine dei “maledetti”, Poe-Baudelaire-etc. di cui naturalmente Mallarmé si ritiene parte. Cosa più importante per noi è però lo sviluppo immediatamente successivo di questa teoria della letteratura, che ci porta direttamente a Joyce, il quale si pone, nell’area del Modernismo, in piena continuità con Mallarmé, realizzando in tutta la sua opera le premesse teoriche testé citate.

2. Ulisse, II, 9: La Biblioteca

Il nono capitolo di Ulysses può leggersi come uno dei più importanti del romanzo per la definizione della tematica dell’esilio. Protagonista ne è Stephen, pur essendo il capitolo parte della “Odissea”, quindi relativo alle peripezie di Bloom. L’episodio della “Biblioteca” o di “Scilla e Cariddi” – tali i titoli negli schemi sinottici che Joyce produsse per il romanzo – vede Stephen Dedalus antagonista dell’intero establishment culturale irlandese, e non solo del suo avversario Malachi Mulligan, come ci specifica il commento di Melchiori , riguardo ad una interpretazione di Amleto: e cioè alla relazione tra il personaggio del principe e l’autore William Shakespeare.

Stephen sostiene una nuova teoria interpretativa, identificando lo spettro con Shakespeare (e di conseguenza Amleto con il figlio del poeta, il giovane Hamnet, morto bambino). Dato l’argomento dell’opera, la discussione ricade sulla dimenticata Ann Athaway, la moglie di Shakespeare, che avrebbe tradito il poeta (anche) con un suo fratello, Richard. Naturalmente, la disquisizione accademica su Shakespeare non è il punto nodale del capitolo. Stephen che enuncia, lungo tutto l’episodio, la sua teoria, si pone di fatto come l’artista in esilio che vanamente cerca di parlare alla sua patria. Il motivo, ricordiamolo, nasce già in Dedalus e praticamente apre Ulysses, con il trio Stephen, Mulligan, Haynes. Occorre citare dal testo i passaggi chiave in cui questa opposizione viene espressa in modo esplicito:

The beautiful ineffectual dreamer who comes to grief against hard fact ;

Which of the two, Stephen asked, would have banished me from his commonwealth?

Bosh! Stephen said rudely. A man of genius makes no mistakes. His errors are volitional and are the portals of discovery ;

But neither the midwife’s lore nor the caudlectures saved him from the archons of Sinn Fein and their noggin of hemlock .

Non solo Stephen, nel suo ininterrotto contrappunto di pensieri, esprime direttamente la sua condizione di esiliato in patria; ma sottolinea anche, nelle evocazioni di Aristotele, di Shakespeare e addirittura di Socrate, la quasi universale condizione di chi si vuole “artista” nei confronti della rispettiva società. Ciò a dire che l’arte stessa di ogni tempo è esilio. Ancora più evidente, questo concetto si ritrova nella figura del personaggio di Amleto, così come Stephen la mette in scena riscrivendo un testo di Mallarmé.

3. Intertestualità: Crayonné au théâtre, Hamlet

Nel testo di Ulysses appena percorso, Joyce cita Mallarmé:

– Mallarmé, don’t you know, he said, has written those wonderful prose poems Stephen MacKenna used to read me in Paris. The one about Hamlet. He says: il se promène, lisant au livre de lui.même, don’t you know, reading the book of himself. He describes Hamlet given in a French town, don’t you know, a provincial town. They advertised it <…> HAMLET ou LE DISTRAIT Pièce de Shakespeare. He repeated to John Eglinton’s newgathered frown : – Pièce de Shakespeare, don’t you know. It’s so French, the French point of view. Hamlet ou… – The absentminded beggar, Stephen ended. John Eglinton laughed. – Yes, I suppose it would be, he said. Excellent people, no doubt, but distressingly shortsighted in some matters .

Joyce

Photo di Richard Ellmann – James Joyce a Zurigo - 1915

Joyce riprende, per bocca di Stephen che era stato a Parigi, una recensione di Mallarmé pubblicata sulla Revue Blance nel 1882 e poi ripresa in Divagations (da cui Joyce cita) nel 1896, concernente una rappresentazione dell’Amleto curata da Alexandre Dumas figlio e Paul Meurice, al Théâtre Français .

Il gioco di parole “Hamlet, le distrait” e la conseguente critica dell’idea inveterata di teatro che ha la Francia sono già tutte nel testo del poeta francese , e Joyce li riprende a modo suo, riconfermandole senza modifiche.

Ma mentre Mallarmé parte dall’occasione di una rappresentazione “storica” di Amleto, con costumi e scenografia d’epoca, tipici del melodramma, per iniziare una “divagazione” sul significato del Teatro e su come il personaggio di Amleto ne sia uno dei massimi simboli; Joyce parte dallo stesso episodio satirico per dare a Stephen il diapason adatto ad esprimere la nuova teoria del rapporto Shakespeare/Amleto, di cui dicevamo.

È estremamente interessante osservare che Mallarmé svuota ogni altro personaggio della tragedia di Shakespeare di autonomia e di significato, centrando tutto sul principe Amleto che, con il suo dramma, rende tutti gli altri delle comparse, e come delle sue proiezioni. Ciò significa che non solo lo spettro Amleto (che ha lo stesso nome del figlio) può essere letto come personaggio interiore al principe, ma anche tutti gli altri, il re, Polonio, la madre e persino Ofelia. Non a caso Amleto mette in scena alcuni di loro nell’episodio di teatro nel teatro dell’Atto III della tragedia. Mallarmé dice che c’è solo Amleto testimone della sua vicenda. Lui, come il poeta, è l’unico occhio in grado di vedere e annotare le relazioni di significato che la realtà gli palesa.

Joyce dissemina di citazioni mallarmeane il suo testo (non tutte presenti nelle note al testo di Ulisse, di Melchiori) :

A great poet on a great brother poet. A hesitating soul taking arms against a sea of troubles, torn by conflicting doubts, as one sees in real life;

Un homme au rêve habitué, vient ici parler d’un autre, qui est mort <…> ce promeneur d’un labyrinthe de trouble et de griefs <…> car il n’est point d’autre sujet, sachez bien : l’antagonisme de rêve chez l’homme avec les fatalités à son existence départies par le malheur ;

Sumptuous and stagnant exaggeration of murder;

Que cette somptueuse et stagnante exagération de meurtre ;

The play begins. A player comes on under the shadow, made up in the castoff mail of a court buck, a wellset man with a bass voice;

L’acteur, sur quoi se taille un peu exclusive à souhait la version française, remet tout en place seul par l’exorcisme d’un geste annulant l’influence pernicieuse de la Maison en même temps qu’il épand l’atmosphère du génie ;

His own image to a man with that queer thing genius is the standard of all experience, material and moral;

The truth is midway, he affirmed. He is the ghost and the prince. He is all in all. – He is, Stephen said. The boy of act one is the mature man of act five. All in all;

L’adolescent évanoui de nous aux commencements de la vie et qui hantera les esprits hauts ou pensifs par le deuil qu’il se plaît à porter, je le reconnais, qui se débat sous le mal d’apparaître: parce qu’Hamlet <…> Un imaginaire héros, à demi mêlé à de l’abstraction; <…> l’emblématique Hamlet. Comparses, il le faut! car dans l’idéale peinture de la scène tout se meut selon une réciprocité symboliques des types entre eux ou relativement à une figure seule. <…> Qui erre autour d’un type exceptionnel comme Hamlet, n’est que lui, Hamlet : et le fatidique prince qui périra au premier pas dans la virilité <…>.

Così facendo, il dialogo con il poeta francese va al di là della citazione di un testo di partenza, da cui prendere spunto per la “divagazione” shakesperiana di Stephen. Joyce vuole approfondire e riprendere per sé (e per quel personaggio che è il suo specchio nell’opera, cioè l’artista irlandese in esilio Stephen Dedalus) il discorso proposto da Mallarmé: l’identificazione di Amleto con la figura del poeta nel suo rapporto con la società, che ribadisce in maniera lampante le teorie del Romanticismo e di Baudelaire del “poeta in esilio”:

Loin de tout, la Nature, en automne, prépare son Théâtre, sublime et pur, attendant pour éclairer, dans la solitude, de significatifs prestiges, que l’unique œil lucide qui en puisse pénétrer le sens (notoire, le destin de l’homme), un Poëte, soit rappelé à des plaisirs et à des soucis médiocres.

La definizione non è meno assertiva o sferzante di quelle che Joyce mette nel monologo interiore di Stephen. L’artista che Joyce descrive nell’esule di Dublino ha molto a che fare con Mallarmé, o quanto meno con l’idea di poesia e con il ruolo del poeta che da Mallarmé viene teorizzato e incarnato. Non a caso, sarà Mr Russell, che apertamente tenta di confutare la teoria di Stephen, a citare un motto famoso di Villiers de l’Isle-Adam:

As for living, our servants can do that for us, Villiers de l’Isle-Adam has said

Tutti gli antagonisti di Stephen saranno assorbiti dall’ingresso di Buck Mulligan (“mine enemy” lo riconosce Stephen ), che rimarrà poi solo a dissacrare, fino alle battute sconce, la teoria di Stephen. Mulligan si pone come quell’artista di posa, che deve apparire un artista nella e per la società in cui vive, e che dunque va avanti con pose e motti di spirito, manifestandosi in una apparente distinzione. Al contrario, Stephen non si ferma all’apparenza, sceglie e vive pienamente un esilio che significa impossibilità di comunicazione tra l’artista e la società. Non a caso, Mulligan “bollerà” il povero Stephen alla fine dell’episodio che abbiamo percorso, associandolo strettamente al personaggio simbolo dell’esilio, il “Giudeo” Bloom

4. Conclusione

La separazione della letteratura dalla società dei lettori, la via diversa teorizzata da Mallarmé dopo un secolo di esperienze letterarie, viene concretizzata due generazioni dopo da James Joyce, i cui massimi capolavori, Ulysses e Finnegans Wake, si leggono, quando si riescono a leggere, tramite l’ausilio di “guide di lettura”. Questo “esilio” in patria, cioè nella lingua, della letteratura, nasce dalla moderna teorizzazione del poeta in esilio, cioè dalla marcata consapevolezza di esclusione sociale che dal Romanticismo in avanti ha caratterizzato l’auto-definizione della poesia e del poeta. Il tema dell’esilio può leggersi dunque, al di là delle periodizzazioni che pur devono essere fatte per lo studio della letteratura moderna e contemporanea, come un filo comune conduttore capace di attraversare con un significato costante l’esperienza e l’opera di numerosi scrittori, a prima vista anche molto lontani l’uno dall’altro.

Giuseppe Martoccia

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