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Una dichiarazione di poetica di Karel van de Woestijne
«Sous la chiquenaude de l’inspiration»
di Jean Robaey

Il testo di Approximations

Paul Valery
Paul Valery
Nel 1927 usciva nei Paesi Bassi, presso l’editore Stols di Bussum, un prezioso Hommage des écrivains étrangers à Paul Valéry. I testi erano nelle lingue originali accompagnati da traduzioni. Tra gli stranieri qualcuno scrisse direttamente in francese, e tra questi i due belgi, anzi fiamminghi di Gent, Hellens e Van de Woestijne.

In Comme à la source Franz Hellens (1881-1972), dopo aver precisato che non si sente, essendo francofono,
«étranger» rispetto allaFrancia e a Valéry, ricorda che i belgi (o i fiamminghi?) non sono «un peuple de causeurs» («nous nous défions de notre langue»), e lo dice di fronte ad un Valéry che discorre della «poésie pure».

Se il belga, anzi specificatamente «le Flamand» passa «si facilement du réel au fantastique» (ma si tratta in realtà della caratteristica dello stesso Hellens, il teorizzatore nientemeno che del fantastico reale nella letteratura), è perché «il cherche». Hellens è francofono ma fiammingo, ossia fa parte di quella borghesia fiamminga linguisticamente francese.
Non affronta nel suo testo Approximations il problema dell’identità Karel van de Woestijne (1878-1929), bilingue (ossia francofono e nederlandofono) passato incondizionatamente alla causa fiamminga e dunque alla letteratura unicamente nederlandese. (Il problema identario è comunque fondante per lo scrittore mentre molte lettere alla moglie e al fratello, il noto pittore Gustaaf o per l’appunto Gustave, redatte direttamente in francese ricordano la sua doppia cultura.)
Lo scrittore Van de Woestijne (“van” prende di norma la maiuscola se non è preceduta dal nome) non scriverà mai in francese, a parte qualche scherzo poetico…
Karel
Karel van de Woestijne in un disegno del fratello Gustaaf
e questa dichiarazione di poetica, con la quale rientra a pieno titolo, in quanto saggista, nella letteratura francese. Van de Woestijne non sembra tra l’altro, a differenza di Hellens, “se défier” del suo francese.

Van de Woestijne è il poeta più importante di Fiandra dell’inizio del secolo scorso. Giornalista dalla penna estrosa, traduttore fedelissimo di Omero e Eschilo, prosatore barocco, fantastico e realistico, è anzitutto poeta: formatosi alla scuola di Baudelaire, subisce la doppia influenza parnassiana e simbolista (anzitutto di Mallarmé). Creatore di una particolarissima scrittura epica (Interludi si chiamano i suoi testi poematici), è anche autore di liriche spiritualmente tormentate. I suoi maestri dichiarati sono Virgilio, Racine e Vondel, l’olandese di origine fiamminga del Seicento considerato il più grande poeta e drammaturgo in lingua nederlandese.

Il nostro poeta, “animale poetico” («dichterdier») secondo l’olandese Martinus Nijhoff, vuole rimanere lontano da ogni pratica di scrittura logica o razionale, ed è anzitutto questo che lo allontana dai simbolisti francesi. Egli si mostra fortemente critico riguardo alla costruzione di un ideale staccato dai sensi: «non vedo Anima, se intorno non c’è Corpo», scrive nel 1903 in uno studio dedicato all’«espressione della poesia». Esemplare è il suo omaggio, velatamente polemico, a Valéry, in cui contrappone alla concezione neoclassica della poésie pure valéryana (che risale al 1920, in un Avant-propos al volume di poesia Connaissance de la Déesse di Lucien Fabre: «On voit enfin, vers le milieu du XIXe siècle, se prononcer dans notre littérature, une volonté remarquable d’isoler définitivement la Poésie»; «à l’horizon, toujours, la poésie pure…») e più ancora alla vulgata di Henri Bremond (La poésie pure, 1926) la più concreta dimensione del verso in cui vede un’«evidenza al di fuori della ragione». Con malcelato orgoglio e puntuale ironia l’autore fiammingo ricorda poco prima di morire, in una conversazione privata, di avere la precedenza sul poeta francese per quanto riguarda il concetto e lo stesso termine di “poesia pura” («zuivere poëzie») se già nel 1903 scriveva, a proposito della «poesia proletaria»: «Mi si capisca, poesia pura chiamo quella che dipende, per quanto riguarda l’ispirazione, unicamente dai sensi dell’uomo, e che mi tocca immediatamente in quanto uomo-con-sensi». L’insistenza sul verso in quanto divagazione, sulla mancanza di volontà e di logica, sull’ispirazione subita e subitanea, sull’intento infine che è estraneo a chi scrive, porta lontano dal poeta francese. Così come la sottile estensione ad «ogni vero verso» («tout vrai vers»: un palindromo che corrobora) di quanto Valéry diceva, ancora nel 1920, di quello unico iniziale: «Les dieux, gracieusement, nous donnent pour rien tel premier vers; mais c’est à nous de façonner le second, qui doit consonner avec l’autre, et ne pas être indigne de son aîné surnaturel» (Variété: Au sujet d’Adonis). (Si veda anche l’umile precisazione del 1925 del fiammingo in Wat is poëzie?, ‘Che cos’è la poesia?’: «Il verso viene a noi, molto spesso solitario, senza sicuro significato».)

Karel
Karel van de Woestijne
Il nostro testo risente delle Divagations di Mallarmé e, prima ancora, della polemica anticartesiana di Pascal, il suo autore di chevet. Citiamo un frammento incerto (ma compreso nell’edizione classica Brunschvicg) delle Pensées: «Je ne puis pardonner à Descartes; il aurait bien voulu, dans toute sa philosophie, pouvoir se passer de Dieu; mais il n’a pu s’empêcher de lui faire donner une chiquenaude, pour mettre le monde en mouvement».
L’etimologia di chiquenaude è incerta; il senso preciso è ‘buffetto’, ‘tocco’: «Coup donné avec un doigt que l’on a plié contre le pouce et que l’on détend brusquement» (Littré).

Approximations è vicino ad altri testi dell’autore come il già citato Che cos’è la poesia?, di cui riprende, traduce e riduce, comunque rimodula, un’affermazione: «La poesia è pertanto il certificato di una certa salute, e più ancora forse di un certa moralità». Approximations è vicino all’estrema e verticale poesia di Van Woestijne «que l’on serait tenté», come dice Valéry di quella di Mallarmé (Variété: Stéphane Mallarmé), «de dire “mystique”, si ce mot n’était de ceux qu’il ne faut jamais employer». Si vedano la fine del testo («è la pazza che sconvolge la nostra casa, ma ad ogni istante ce la rende stranamente più bella»; la frase si rifà alla critica pascaliana della imagination, la «folle du logis» di un supposto Malebranche) e i più o meno coevi versi di Substrata («Io»: «La tua carne piange ma ne diventa più bella»), Dio al mare («Vedi, non sono se non nata dalla Tua mano, / una mela che, matura, Tu lasci cadere. / […] / Ma Tu provvedi il mio colore di eterna rugiada / nel verziere, dove Tu senza fine mi fai profumare»), Il Lago sul monte: «Sono la nocciola. – Un pallido, debole verme / abita il mio guscio, e che è cieco, e che rode. / […] / Ma se mi tocca il dito di un bambino, che mi indovini: / sente il mio vuoto: suono; canto».

La prosa del poeta è ardua, quanto la sua poesia. Abbiamo volutamente cercato di mantenere nella traduzione le particolarità stilistiche dell’originale. Due precisazioni: «en fonctions» e non – come ci si aspetterebbe dopo «en action» – «en fonction»; la svista «en deça» anziché «en deçà» (che abbiamo restituito).

Per una prima informazione sull’autore si vedano i volumi: Karel van de Woestijne, I Cavalli di Diomede, Ariele, Milano 1995; Harba lori fa! Percorsi di letteratura fiamminga e olandese (a cura di J. Koch, F. Paris, M. Prandoni, F. Terrenato), Il Torcoliere, Napoli 2011.

Vai al testo di Karel van de Woestijne

Jean Robaey

Biografia dell'autore

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L'éditorial thélémite

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À propos de cette page
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